Home C'era una volta L’amnistia libera alcuni responsabili della morte di Matteotti

L’amnistia libera alcuni responsabili della morte di Matteotti

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Il 22 giugno 1946, il “Decreto presidenziale di amnistia e indulto per reati comuni, politici e militari”, nato per “pacificare” l’Italia dopo la Liberazione mette in libertà alcuni responsabili dell’uccisione di Giacomo Matteotti.

Indagini deviate e pilotate

L’istruttoria prima per la scomparsa e poi per l’assassinio di Giacomo Matteotti si apre il 14 Giugno 1924 e si conclude con il proscioglimento dei sospetti Filippo Panzeri, Aldo Putato e Otto Thierschald e con la richiesta di rinvio a giudizio di Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo con l’accusa di sequestro di persona e omicidio volontario. I cinque si difendono negando di aver voluto la morte del deputato che sarebbe morto durante la colluttazione, ma senza premeditazione da parte loro. Lo stesso sequestro, secondo la linea difensiva non è stato premeditato. Il gruppo avrebbe incontrato casualmente il deputato socialista e deciso solo in quel momento di punirlo per la sua attività antifascista senza alcuna intenzione di uccidere. Con loro vengono imputati per concorso nello stesso delitto quali mandanti il capo ufficio stampa della Presidenza del consiglio Cesare Rossi, il capo della polizia segreta fascista Giovanni Marinelli e Filippo Filippelli, già portavoce del sottosegretario agli Interni.

Condanne e proscioglimenti

Il 1° dicembre 1925 vengono accolte le richieste del procuratore generale di rinvio a giudizio dei cinque esecutori materiali dell’omicidio (Dumini, Volpi, Viola, Poveromo, Malacria), escludendo però la premeditazione. Vengono invece prosciolti tutti gli altri. Il processo si svolge a Chieti. Inizia il 16 marzo 1926 e terminò il 24 dello stesso mese, con l’emissione della sentenza definitiva dopo sole otto udienze. Dumini, Volpi e Poveromo vengono condannati a cinque anni, undici mesi e cinque giorni di carcere per omicidio preterintenzionale, mentre Viola e Malacria vengono assolti per non aver commesso il fatto. Caduto il regime fascista, la Corte di Assiste di Roma, dopo varie vicissitudini, il 4 aprile 1947, condanna Dumini, Viola e Poveromo all’ergastolo, con la commutazione della pena a trent’anni di carcere. Filippelli, Rossi, Giunta e Panzeri vengono invece liberati per gli effetti dell’amnistia del 22 giugno 1946.