Home C'era una volta L’assassinio di un bluesman non fa notizia

L’assassinio di un bluesman non fa notizia

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Il 7 ottobre 1962, in un vicolo di Indianapolis, nell’Indiana, viene trovato il cadavere del cantante e chitarrista Scrapper Blackwell. L’indagine sulle cause della sua morte, condotta in modo superficiale e svogliato, si limita a stabilire che è stato assassinato in una banale rissa di strada.

Poche righe in cronaca

I giornali dedicano poche righe all’accaduto che viene ben presto dimenticato. Muore così, a cinquantanove anni uno dei personaggi più importanti del blues, artefice di uno stile basato sulle note singole che ha influenzato in modo determinante l’evoluzione strumentale del rock. Blackwell è anche uno dei precursori nell’utilizzo del “break” strumentale, divenuto con il passare del tempo un elemento comune a tutti i bluesmen del mondo. La sua vita non è stata un divertimento. Nato a Syracuse, nel North Carolina, il 21 febbraio 1903, si trasferisce all’età di tre anni a Indianapolis con la famiglia e a sei inizia a suonare la chitarra sotto la guida del padre. Passa le giornate nella strada e ben presto impara a cavarsela da solo. Negli anni del protezionismo alterna l’attività musicale con quella di manovale nelle distillerie clandestine controllate dalla malavita. Nel 1927 l’incontro con il pianista Leroy Carr lascia un segno profondo nella sua ispirazione artistica e il sodalizio tra i due è premiato da uno straordinario successo.

L’abbandono della musica e il ritorno

Il duo sembra destinato a durare in eterno, ma nel 1935, Carr muore consumato dall’alcol. Blackwell, sconvolto e annichilito, decide di lasciare la musica. Trova un lavoro come manovale in una fabbrica di bitume e taglia decisamente i ponti con il passato. Passano cinque anni prima che il grande capo-orchestra Jack Dupree riesca convincerlo a tornare sui suoi passi. Alla fine del 1940 ricomincia a suonare proprio con l’orchestra di Dupree al Cotton Club di Indianapolis. Pian piano riprende confidenza con l’ambiente e nel 1958 ricuce i rapporti anche con l’industria discografica realizzando alcuni dischi per la 77 Records e per la Bluesville destinati a diventare merce preziosa per i collezionisti. Nei primi anni Sessanta sull’onda dell’evoluzione del rock si parla di lui come di un maestro, il suo lavoro viene riscoperto e c’è chi gli propone nuove collaborazioni. La mano di un anonimo assassino chiude per sempre il discorso.

 

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".