Home C'era una volta L’hip hop accompagna la rivolta di Los Angeles

L’hip hop accompagna la rivolta di Los Angeles

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A California Highway Patrol officer stands guard at Ninth Street and Vermont Avenue in Los Angeles as smoke rises from a fire further down the street, April 30, 1992. It was the second day of unrest in Los Angeles following the acquittal of four Los Angeles police officers in the Rodney King beating case. (AP Photo/David Longstreath)

Il 30 aprile 1992 l’hip hop fornisce la colonna sonora alla rivolta scoppiata nei quartieri neri di Los Angeles dopo il verdetto di un tribunale che manda assolti i poliziotti artefici di un pestaggio ai danni di un giovane afroamericano. L’evento segna la rinascita dalla carica alternativa di un genere che da qualche tempo rischiava di essere definitivamente inglobato nella struttura del music-business. L’evento apre una riflessione profonda sul genere. Che cos’è l’hip hop? Negli anni Ottanta è senza dubbio l’espressione più alta della cultura musicale alternativa nera statunitense. Dice il batterista jazz Max Roach: «La cultura musicale nera ha espresso tutti i principali suoni di questo secolo. Da Jelly Roll Morton a Scott Joplin fino ad arrivare all’hip hop c’è un sottile, ma robusto, filo di continuità. Il rap, Louis Armstrong e Charlie Parker sono l’espressione della stessa realtà minima, delle stesse povere zone urbane. Il jazz era la musica di chi non aveva soldi per studiare la musica dei ricchi, il rap è una musica povera che si può fare senza strumenti».

Radici nere evidenti e inconfutabili

Le radici nere dell’hip hop sono evidenti e inconfutabili come è stato per il rock and roll. Questa volta però i protagonisti quelle radici le rivendicano come emerge dalle dure parole di Ice-T, un personaggio che arriva al rap partendo dalla poesia e il cui nome d’arte è ispirato allo scrittore nero Iceberg Slim: «Non ce la faranno a fregarci, come è successo con lo sforzo creativo nero del rock and roll. Negli anni Cinquanta le canzoni di Little Richard e Chuck Berry venivano definiti “suoni da jungla”, poi l’industria ha capito che poteva essere un affare e ha tirato fuori dal cilindro un caro ragazzo bianco del Sud come Elvis Presley. Non hanno fermato il rock, l’hanno inglobato depotenziando la sua componente nera. Questa volta non sarà così». In realtà la storia sembra proprio ripetersi. Nel 1987, infatti, il primo album hip hop al vertice della classifica dei dischi più venduti degli Stati Uniti ha sulla copertina le facce bianche dei Beastie Boys, un gruppo la cui trasgressione in quel momento si limita alle parolacce. Il tentativo del music businnes di inglobare questo genere musicale e metabolizzarlo riesce, però, solo a metà. Crea un hip hop parallelo, di plastica e gradevole, ma non spegne la forza di quello alternativo che diventa ancor più violento.

Ripresa della spinta alternativa e conseguenze

La ripresa dell’hip hop alternativo inizia proprio in quel 30 aprile 1992 quando diventa la colonna sonora della rivolta di Los Angeles. La cultura hip hop, quella vera e quella addomesticata, si porta dietro però anche pericolose confusioni su argomenti delicati come la violenza e il razzismo ma le case discografiche per molto tempo fanno finta di non vedere e non sentire. L’importante è vendere e tanto la violenza quanto il razzismo fanno vendere. Ci sono casi emblematici come quello del rapper bianco Vanilla Ice, un tranquillo personaggio cui è stato costruito a tavolino dai produttori un passato turbolento in bande assolutamente inventate. La violenza innocua fa vendere, le rivolte preoccupano. Con la rivolta di Los Angeles la parte più vera dell’hip hop vuole riprendere in mano la propria musica30 e ne paga le conseguenze. Scattano le contromisure. Tra i primi a pagare le conseguenze del suo appoggio in musica alla rivolta di Los Angeles c’è proprio Ice-T. Qualche mese dopo, nonostante i successi commerciali, verrà licenziato in tronco dalla Warner Bros.

 

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".