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Lo smaltimento dei rifiuti: una proposta sul riuso

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Rifiuti

La situazione ambientale generale è drasticamente peggiorata negli ultimi anni (deterioramento dell’habitat, cambiamenti climatici, contrazione della biodiversità, ecc…) per questo rivestono sempre più importanza le iniziative green. In questo ambito vorrei soffermarmi su un preciso aspetto di politica ecologica, cioè lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani con una proposta pratica che si pone l’obiettivo di incrementare il riuso dei rifiuti (politica del “non spreco”) senza peraltro modificare gli stili di vita a cui siamo abituati.

La situazione attuale non è rosea: parte dei rifiuti – soprattutto nelle grandi città – finisce in discarica (con episodi di mancata raccolta e di combustione dolosa dei cassonetti) e lo sfruttamento della spazzatura diversificata è ad appannaggio essenzialmente dell’industria del riciclo. Tale assett non garantisce migliore impatto ambientale derivante dalla circolarizzazione dei rifiuti.

Infatti tra possibili forme alternative di riqualificazione dei rifiuti, in genere i processi di trattamento atti a minimizzare l’impatto ambientale (ed i costi) sono quelli volti al riuso (trattamenti che puntano alla rigenerazione attraverso le pulizia ed il riutilizzo degli stessi oggetti per renderli, per quanto possibile, identici a quelli nuovi). Tre le ragioni fondamentali:

si tratta di processi semplicil’iter di “raccolta, pulizia e reintroduzione del prodotto rigenerato” è più breve, economico e con un minor fabbisogno di risorse (sia in termini di prodotti che di energia) rispetto al riciclo o alla produzione ex-novo (che parte dalla raccolta e manipolazione delle materie prime per arrivare alla produzione e distribuzione del prodotto finito);

–  pur essendo proponibile solo per alcuni tipi di prodotto (vi sono molti materiali che, per via delle loro caratteristiche, sono difficilmente riutilizzabili o lo sono in percentuale ridotta) vi è una larga scala di categorie di scarto “adatte al riusosia come quantità che come “volume di scarto” rispetto al totale dei rifiuti. In primis le bottiglie di vetro ma – con particolari accorgimenti produttivi (quale processi di laccatura o smaltaggio delle superfici che presentano microporosità qualora il package venga utilizzato in contatto con il cibo) –  il riutilizzo può essere esteso anche alle lattine in lega metallica, ai contenitori di plastica e al tetrapak;

–  anche se occorre intervenire sui paradigmi produttivi (la creazione di bottiglie smaltate ha sicuramente un costo più elevato che il semplice imbottigliamento su contenitori in plastica), il fatto che un oggetto possa essere riutilizzato più volte, ammortizza ampiamente il maggior costo iniziale di produzione.  

 

A confronto i processi di riciclo – ovvero l’utilizzo del materiale di scarto per fare gli stessi od altri oggetti – risultano mediamente meno efficienti (maggiore impatto ambientale ed livello di costi superiore). Assieme ai processi di termovalorizzazione, possono essere considerati una valida alternativa solo nei casi in cui non è possibile il riutilizzo. Del tutto insostenibile infine risultano gli apporti in discarica, l’esportazione dei rifiuti o le altre forme di dispersione ambientale [1]. Si può quindi affermare che c’è una tendenziale concordanza tra economicità e tutela dell’ambiente.

 

Analizzati i motivi per cui occorre puntare al riutilizzo vediamo perché è altrettanto importante la salvaguardare gli attuali stili di vita (la seconda parte dell’obiettivo): facciamo pertanto una breve digressione sulla psicologia media del consumatore. Quando una persona si reca presso un punto di vendita qualsiasi (negozio, supermercato, ecc.) a fare la spesa di solito opera una specie di raffronto (anche inconscio) tra prezzo di un prodotto e qualità percepita (valore d’uso).

La qualità percepita viene di solito data dalla “marca” (brand): l’azienda produttrice rende visibile il proprio prodotto assumendosi la responsabilità delle caratteristiche. Questo, assieme alle varie normative volte alla tracciabilità delle filiere (ingredienti, provenienza, ecc), sono informazioni essenziali per la tutela dei consumatori. La clientela, quindi, acquistando un prodotto attraverso il marchio ottiene una garanzia di qualità. Per questo motivo ed una serie di altri motivi, anche igienici (ad esempio la durata dei prodotti), è importante il fattore package che ha un suo autonomo costo – talvolta anche abbastanza elevato – che viene inglobato nel prezzo di vendita finale del prodotto.

La garanzia di provenienza del prodotto (marchio) quindi è un valore aggiunto difficilmente rinunciabile: pensare di tornare all’epoca degli spacci dei primi del ‘900 (con vendita dei prodotti sfusi, e quindi grandi margini di abuso da parte dei commercianti al dettaglio) non è una strada oggi percorribile: la clientela pone la propria fiducia nella capacità del produttore e non nell’onestà dell’esercente.

Allo stesso tempo, visto che far leva sulla buona volontà del singolo per la raccolta differenziata, non ha finora avuto i risultati sperati (aggiungerei “inevitabilmente” dato che molta gente non ha sentimenti ecologici e che le modifiche culturali, spesso coadiuvate da opportuni indirizzi legislativi, necessitano di tempi lunghi), bisogna far sì che le persone siano in qualche modo costrette a differenziare i rifiuti.

A questo punto vorrei pensare vintage: ero piccolo ma ricordo bene che mia nonna, a metà degli anni ‘60, andava dal lattaio di fiducia. Per ogni litro pagava una piccola cauzione sulla bottiglia (mi pare 10 lire) che veniva prontamente rimborsata al momento del reso. Nonostante non si parlasse di ambiente il circuito funzionava: ancor oggi questa meccanismo di micro leva finanziaria (laddove utilizzata) è una formula di successo in quanto non tocca la cultura ambientalista del singolo individuo ma le corde socialmente assai più sensibili, quelle del budget familiare.

 

 

  1. La politica del reso 2.0

 

A questo punto occorre analizzare come si possa organizzare a livello sistemico una seria politica del reso: cioè un approccio ed una gestione standard a livello regionale o – ancor meglio – nazionale (ed in prospettiva, considerando gli obiettivi green europei ed il know how dei paesi nordici, estensibile a livello comunitario). Occorre partire da alcune considerazioni:

  1. Innanzitutto su quali package possa essere inserito il meccanismo del vuoto a rendere. I prodotti monouso adatti al nostro scopo – almeno all’inizio – sono essenzialmente quattro: contenitori di plastica, vetro e metallici (latta o alluminio) a cui si aggiunge il tetrapak.
  2. Quindi, considerando il ciclo di produzione del nuovo ed i cicli di riutilizzo come un unicum, il legislatore (coadiuvato da un apposito comitato tecnico di esperti a livello multidisciplinare che garantisca la totale sicurezza del consumatore) deve determinare – in relazione alla categoria merceologica dei package ed alla loro destinazione d’uso (in primis food oppure no food) – gli standard produttivi che definiscano: (A) le caratteristiche tecniche dei codici di identificazione da applicare sui package; (B) le caratteristiche organolettiche dei contenitori prodotti sia in termini di robustezza meccanica agli urti (per agevolare la resa in perfetto stato) che di resistenza agli agenti esterni (per evitare repentini decadimenti nelle successive fasi di riutilizzo); (C) le tecniche di recupero; (D) i cicli di trattamento da adottare per consentire il riutilizzo dei vuoti e (E) il numero dei cicli di recupero ammessi.
  3. Occorre poi determinare un valore del vuoto: nell’ambito di un sistema integrato di riuso/riciclo, si potrebbe cioè parlare di una vera e propria cauzione che, in caso di spreco, diventi definitiva (waste tax) [2]. Per rendere l’azione efficace sarebbe saggio individuare un’unica cauzione su tutti i contenitori monouso (40-50 centesimi – un valore significativo ma, nel contempo, non troppo pesante in termini di anticipi monetari) in modo che i cittadini adottino quelle precauzioni ecologiche ad evitare quei danni patrimoniali che subirebbero in caso di danneggiamento o dispersione del vuoto.

 

Tutto questo non è sufficiente se non si crea, nel contempo, un sistema integrato di governance che permetta di individuare i flussi di movimentazione (individuando i produttori primari dei package nuovi o riciclati, il numero di cicli di riutilizzo effettuati, le aziende che hanno realizzato tale trattamento, le varie imprese di filiera che si sono susseguite nell’utilizzo e nello smercio – diretto ed indiretto – dei contenitori). Per fare questo occorre prevedere:

meccanismi di accreditamento (attraverso verifiche tecniche preliminari delle aziende da autorizzare) e successivi controlli periodici di perdurante conformità agli standard di tutti i soggetti interessati alla filiera del packaging tracciato, a garanzia del rispetto delle regole atte a consentire il corretto funzionamento del sistema.

l’inserimento integrato (non removibile) nei contenitori di appositi strumenti (ID) identificativi (chip o altre forme di riconoscimento difficilmente clonabili, quali numeri di serie o codici a barre autenticati) in grado di permettere la lettura dei vari passaggi del package. Naturalmente anche i produttori di tali congegni devono essere accreditati e sottoposti a controllo pubblico dovendo conferire una numerazione univoca standard legalmente riconosciuta e portata a conoscenza del settore pubblico dedicato alla governance del sistema. L’ID è essenziale non solo per la tracciabilità ed il conteggio dei cicli ma anche per evitare importazioni non gradite di vuoti di scarto profumatamente rimunerati [3].

consentire una facile individuazione visiva dei vuoti rimborsabili: la clientela deve essere in grado di riconoscere immediatamente se il package di un certo bene preveda la possibilità o meno di ricupero della cauzione che (come vedremo in seguito) andrebbe comunque corrisposta al momento dell’acquisto. Inoltre si dovrebbe imporre ai commercianti di evidenziare i prezzi lordi e netti di ciascun prodotto (che nel caso di “vuoto a perdere” sarebbero identici).

un numero elevato di bancomat intelligenti (o altre forme alternative di gestione dei resi) adibiti al carico e alla successiva distribuzione dei vuoti nonché alla restituzione delle cauzioni in grado di leggere gli ID dei vuoti interagendo così con l’unità centrale di coordinamento del sistema.

In pratica una serie di sistemi di lettura, collegati ad un computer centrale di raccolta dati (a livello statale o attraverso ditte accreditate) seguono per ciascun ID i vari passaggi di filiera, riscontrando anomalie (per eventuali controlli ed interventi), definiscono quando il numero dei cicli è terminato e così via.

Perno di questo meccanismo sarebbe proprio il bancomat che funge da terminale al servizio del cittadino per la presa in carico del vuoto ed il reso della cauzione. Esso fornisce all’elaboratore centralizzato il numero di ID del vuoto ricevendo a sua volta la lettura aggiornata del numero dei cicli di riuso effettuati e la tipologia chimica del vuoto [4]. Così, attraverso un braccio meccanico (o altri sistemi similari), andrebbe direttamente a smistare i vuoti su differenti contenitori in base alla loro natura e destinazione d’impiego (riuso o riciclo).

Oltre al bancomat tutti gli altri soggetti di filiera dovrebbero dotarsi di sistemi di lettura (passivi) in modo da comunicare all’elaboratore principale la movimentazione fisica e lo stato d’uso dei beni. Pertanto la mappatura va effettuata da ciascun soggetto sia a livello di input (presa in carico) che di output (in quanto, per evitare possibili frodi, è necessaria la corrispondenza dei soggetti operanti in filera: l’output di in soggetto a monte deve sincronizzarsi con un input di quello a valle): per la governance della filiera ed evitare forme di abuso è infatti necessaria la coerenza tra carico e scarico di tutti i soggetti interessati.

In questo modo la tracciatura, oltre il numero di cicli, permette di individuare:                                      

(a) la ditta che ha prodotto il codice univoco di identificazione (ID) la quale, al momento della consegna, comunica all’elaboratore centrale a quale ditta realizzatrice di package è destinato tale codice;

(b) a sua volta il fabbricante del contenitore effettua la presa in carico del codice ID. Dopodiché, nell’ambito del processo produttivo lo integra nel vuoto e – al momento dello smercio – ne indica la tipologia chimica (in modo che l’elaboratore possa determinare il numero di cicli ammessi) e la ditta a cui è fisicamente destinato il contenitore;

(c) segue pertanto la presa in carico dell’azienda che utilizza il vuoto come package dei suoi prodotti indicando a sua volta il soggetto della filiera a cui consegna il prodotto da vendere (trasportatore, grossista, esportatore, ecc);

(d) lo stesso iter di carico e scarico deve avvenire, a seguire, tra i vari soggetti della filiera (sino ad arrivare al negoziante);

(d) la merce passa poi dal dettagliante al consumatore (che chiaramente non ha obbligo di presa in carico formale) previa verifica dell’integrità del vuoto. Quest’ultimo, dopo l’uso del prodotto, riprende la cauzione pagata solo se conferisce il vuoto in perfetto stato al bancomat intelligente;

(e) qui ricomincia la fase successiva di filiera con la presa in carico della ditta adibita alla raccolta e lo smistamento dei resi destinati (normalmente) al riutilizzo;

(f)  la compagnia adibita al riutilizzo comunica la presa in carico e, a fine ciclo di lavorazione, indica a sua volta la ditta a cui viene destinato il vuoto per un nuovo ciclo produttivo destinato al mercato (e così via per tutti i cicli di riutilizzo ammessi).

(g) a fine vita dei cicli di riutilizzo si passa all’azienda di riciclo primario la quale – nel processo di rigenerazione della materia prima (di solito si tratta di attività di fusione ad elevate temperature) – inevitabilmente rottama il vecchio ID (non più utilizzabile) e ne appone uno nuovo negli stessi modi indicati al punto sub (b). Viceversa, per le aziende addette al riciclo secondario, la necessità o meno di apporre nuovi ID dipende dal tipo di prodotto generato.

 

Dal momento che tutto il meccanismo indicato è volto ad incentivare il riuso (possibile solo in caso di restituzione in “perfetto stato” del vuoto) tutte le apparecchiature di lettura, accanto alla funzione di comunicazione con il sistema centralizzato, vanno dotate di scanner e di un sistema software adeguato in modo da poter essere in grado – sia in fase di entrata che di uscita – di esaminare ed eventualmente “non accettare” (operatori di filiera) o “non rimborsare” (consumatori disattenti) un vuoto danneggiato (contenitori accartocciati, vetri rotti o scheggiati) [5].

 

In pratica tutto il processo di controllo ordinario viene gestito in modo automatizzato attraverso un sistema di interscambio informativo tra lettori periferici ed il server centrale (il che significa che la governance complessiva della filiera è assicurata da sincronismi di software, senza che sorgano particolari necessità di interventi specifici da parte dei singoli operatori), a garanzia sia dell’avvenuto pagamento della cauzione iniziale all’erario sia della salvaguardia dei diritti finanziari (recuperabilità del reso) e di sicurezza sanitaria dei consumatori (verifica del numero dei cicli).

 

 

  1. Oneri ed onori della waste tax

 

Una volta individuato il sistema logico di funzionamento del sistema determiniamo ora su chi dovrebbe cadere l’onere del pagamento iniziale della cauzione. Iniziamo a dire che il legislatore – prevedendo un adeguato arco temporale di sospensione rendere operativo il sistema – potrebbe semplicemente introdurre la waste tax sui contenitori  a prescindere che il package sia con vuoto “a rendere” o “a perdere” riconoscendo però la possibilità di recupero della cauzione solo sui package tracciati. Le ditte produttrici di beni di consumo – per evidenti ragioni di competitività – si adeguerebbero subito. Potrebbero invece nascere opposizioni da altri soggetti di filiera che, pertanto, vanno costretti ex-lege a conformarsi [6].

Il pagamento iniziale della waste tax – a prescindere che vi sia o meno la possibilità di recupero del reso – è a carico delle ditte che gestiscono la produzione, la rigenerazione ed il riutilizzo dei vuoti mentre, in caso di importazione, l’obolo andrebbe a carico dell’importatore [7]. Tali ditte opererebbero come sostituto d’imposta pagando all’erario la cauzione che andrebbe a sommarsi al prezzo di vendita del package. Si potrebbe lasciare libertà di accreditamento alle ditte di prima produzione dei package (essendo comunque investiti della funzione di sostituti d’imposta con obbligo di pagamento della cauzione) ma non alle ditte dedicate alla rigenerazione, in quanto parte integrante del sistema.

Questa struttura organizzativa sarebbe da impulso ad un’economia circolare applicata su larga scala. L’Italia è un paese piccolo, quasi privo di risorse minerarie ma densamente popolato e con un sistema consumistico spinto (quindi crea molti rifiuti). Attrezzarsi seriamente sia nella fase di recupero sia in quella del trattamento, con adeguate misure di leva fiscale e finanziaria, sarebbe volano per un deciso impulso alle capacità innovative delle nostre aziende e, nel contempo, la possibilità di stili di vita più sani. Concludiamo con una tabella riassuntiva – a livello descrittivo – dei principali oneri e dei benefici legati a tale progetto.

 

ONERI PROGETTO BENEFIT PROGETTO
Comitato tecnico che determina degli standard (processi produzione primaria, riutilizzo, codici ID, numero cicli ammessi) Benefici finanziari erariali (delta+ circolante) parametrizzati al tempo intercorrente tra l’immissione package sul mercato e momento reso (stima dai 3 ai 5 miliardi di euro)
Conferimento accrediti – controllo iniziale aziende (verifica capacità tecnico/amministrativa di raggiungimento potenziale standard) Mancati resi o fuori circuito (% dispersione o package non tracciati) waste tax che assume carattere definitivo (cauzione = incasso netto)
Controlli periodici aziende accreditate per verifica della perdurante conformità operativa agli standard Minor oneri dei comuni derivanti dal minor fabbisogno di stoccaggio e trattamento dei rifiuti (lo Stato potrebbe richiedere una % TARI)
Costo informatico per il controllo centralizzato della movimentazione dei package tracciati e relativi oneri organizzativi Possibili contrazione costi SSN per diminuzione malattie legate ad un miglior impatto ambientale del territorio
Oneri di riconversione funzionale delle aziende produttrici di package (per renderle tecnicamente adatte al riutilizzo) Multe per mancati adeguamenti da parte di operatori della filiera
Incentivazioni fiscali per parziale copertura spese dei lettori periferici per i negozi a dettaglio (credito di imposta, rimborso parziale, ecc…) Vantaggi competitivi indiretti al made in Italy legati alla maggiore facilità di accesso al circuito dei package tracciati (dazi occulti). Possibili aumenti di entrate fiscali per crescita PIL.
Altri incentivi + % aggio per i commercianti grande distribuzione con obbligo di dotazione dei bancomat ed anticipo rimborso cauzioni La tracciabilità dei package quale forma di verifica anche ai fini IVA (doppio controllo – recupero sacche di evasione)
Possibili minori entrate fiscali per diminuzione valore medio dei package in relazione ai processi di riutilizzo (diminuzione necessità produzione del nuovo per mancata dispersione) Possibili maggiori entrate fiscali crescita PIL per: espansione produzione settore tecnologico legato ai lettori passivi e bancomat intelligenti + capacità di export tecniche produzione, riciclo e riuso (best practices)

 

[1] Le discariche, che per anni sono state considerare la via più semplice di governance del problema, vanno ridotte al minimo e solo in casi particolari (rifiuti ignifughi e pericolosi non riadattabili in altri modi) in quanto presentano un aspetto economico sfavorevole (si tratta di procedimenti onerosi che si riversano sui cittadini – tassa sui rifiuti – e senza alcun valore aggiunto, visto che il prezzo di mercato dei rifiuti indiffenziati è nullo o negativo). Inoltre L’aspetto ambientale (che dipende dal tasso di pericolosità dei rifiuti apportati e del loro tasso di concentrazione) è il peggiore ottenibile, in quanto il processo di dispersione presuppone la necessità di produzione di nuovi prodotti in sostituzione (al danno dello spreco si aggiunge quello della produzione di nuovi package). Il problema non può risolversi nemmeno con una politica di esportazione dei rifiuti in quanto – salvo i casi in cui l’importatore abbia il know how, la tecnologia e capacità produttiva di recupero funzionale degli scarti – si tratta di un’operazione assai onerosa di semplice maquillage ecologico, con effetti solo territorialmente traslativi e globalmente peggiorativa per l’habitat generale (in quanto ai danni ambientali della dispersione, si aggiungono quelli derivanti dallo spreco di energia necessaria per il trasporto).

[2] La waste tax è un’ecotassa in grado di favorire l’economia circolare e con una solida base etica in quanto – colpendo i comportamenti individuali che impattano l’ambiente – incide esclusivamente sullo spreco. Nel caso si optasse per una parametrazione dell’obolo – nell’ottica dell’obiettivo di tutela ambientale – non ci si dovrebbe rapportare al costo di produzione (valore) del package ma al suo potenziale tasso di pericolosità ecologica.

 

[3] Presupposto alla rimborsabilità è il conferimento della cauzione iniziale allo Stato. A supporto sono necessari adeguati meccanismi di controllo sulla provenienza e tracciabilità in mancanza dei quali non è difficile ipotizzare un’invasione di vuoti provenienti dalle parti più disparate del pianeta per ottenere rimborsi non dovuti.

[4] Al bancomat – preso fisicamente in carico il vuoto – occorrono due informazioni da parte dell’elaboratore centrale. La prima riguarda la tracciabilità del reso (ID valido, l’ID invalido, ID non tracciato; ID inesistente o non leggibile), la seconda la composizione chimica del vuoto apportato (ad un certo numero di ID corrisponde ad esempio un reso di “materiale plastico”). In pratica il remoto, inviando il codice ID all’elaboratore centrale, riceverebbe 4 comandi alternativi: (1) vuoto riutilizzabile (vuoto destinato al riuso); (2) cicli riuso terminati, cicli riciclo aperto (vuoto destinato al riciclo primario di nuovi vuoti); (3) cicli riuso e riciclo terminati (vuoto destinato a ricicli secondari per usi alternativi o alla termovalorizzazione); (4) vuoto non identificato o con tracciatura errata (quota residuale da conferire negli scarti di natura indifferenziata in quanto lo sportello automatico non è in grado di individuare la composizione chimica del reso). Nei primi 3 casi il vuoto andrebbe rimborsato, nell’ultimo caso no.

 

[5] Lo “stato d’uso del reso” è un ulteriore aspetto che determina o meno il transito lungo la filiera. Ogni passaggio prevede un controllo di input (carico) e poi di output (scarico). Al momento di consegna ai privati il lettore del dettagliante – per smarciare il prodotto – deve certificare la tracciabilità e l’integrità dell’involucro in modo che la clientela possa effettivamente recuperare la cauzione.

[6] Forti resistenze di avrebbero dai realizzatori di package per via della fortissima contrazione di mercato del nuovo. In questo caso, visto il loro know how, sarebbe opportuno incentivare riconversioni industriali affinché abbiano l’opportunità di allargare i servizi offerti anche nei settori di riuso e riciclo. Concentrando più fasi si otterrebbe una programmazione delle vendite dei package a “prezzo medio ponderato” tra il nuovo (che sconta maggiori costi di processo) e quello rigenerato (a costi inferiori). Altre obiezioni possono nascere in relazione ai costi dei lettori ed alla diversa organizzazione di vendita (soprattutto commercianti al minuto): accanto l’obbligo di acquisto delle apparecchiature occorrerebbe prevedere incentivazioni fiscali sugli oneri di adeguamento (credito di imposta, rimborso parziale, ecc…) ed ulteriori forme di incentivo (es. aggi) sarebbero poi da riconoscere a quei commercianti primari (grande distribuzione) che dovrebbero dotarsi dei bancomat ed anticipare le cauzioni che verrebbero poi loro rimborsate dallo stato a fine mese.

 

[7] Al fine di evitare oneri a pregiudizio dei prodotti del made in Italy la waste tax (a prescindere che il vuoto sia a rendere oppure no) va applicata su tutte le importazioni e rimborsata al momento dell’export. Se così non fosse le merci estere beneficerebbero di vantaggi competitivi (per mancati pagamenti della cauzione su prodotti e rifiuti trattenuti in Italia) e, in caso di export, le merci nostrane sarebbero gravate da una tassa non più dovuta (in quanto si tratta di rifiuti la cui gestone è demandata ai centri di raccolta esteri).