Nella notte degli Oscar del 28 marzo 1973 Marlon Brando rifiuta di ritirare la preziosa statuetta, vinta per la sua interpretazione nel film “Il Padrino”, va a rendere omaggio ai nativi, quelli che nei film vengono da sempre presentati come gli “indiani d’America” in segno di solidarietà con le loro rivendicazioni. Al suo posto manda alla cerimonia una rappresentante dei movimenti per i diritti civili di quel popolo.
Il mito si schiera
Son passati quasi vent’anni da “Fronte del Porto” ma Marlon Brando non è cambiato. Negli Stati Uniti squassati da una mobilitazione senza precedenti contro la guerra del Vietnam e per i diritti civili, il mito dei giovani degli anni Cinquanta decide di stare dalla parte delle nuove generazioni. Se nella prima parte della sua carriera l’identificazione con i giovani ribelli era basata sulla sua diversa interpretazione del ruolo dell’attore visto come un soggetto in grado di restituire un significato più complesso della semplice interpretazione di un ruolo, in questo caso la sua presa di posizione appare ancor più sincera perché slegata dalla sua carriera cinematografica.
Ribelle nella vita
Con il suo rifiuto dell’Oscar manda un messaggio preciso: Marlon Brando è un ribelle nella vita prima ancora che sullo schermo. Le nuove generazioni, figlie dei suoi primi ammiratori, capiscono il messaggio e si riconoscono in lui, magari contro i padri e le madri che in gioventù si erano identificati con il motociclista del selvaggio.