Home C'era una volta Per qualche dollaro in più

Per qualche dollaro in più

SHARE

Il 18 dicembre 1965 al Supercinema di Roma viene proiettato per la prima volta il secondo western all’italiana di Sergio Leone. Si intitola “Per qualche dollaro in più” e la leggenda vuole che il titolo sia nato il giorno stesso della rottura con la Jolly Film, la casa di produzione di Giorgio Papi e Arrigo Colombo per la quale aveva girato “Per un pugno di dollari”.

Un titolo per ripicca

È lo stesso Leone ad avvalorare la tesi sostenendo di esserselo inventato per ripicca proprio nel momento in cui dava loro l’addio senza avere la minima idea di quale sarebbe stato il soggetto. Il regista trova poi un nuovo produttore nell’avvocato Alberto Grimaldi che gli fa un’offerta di tutto rispetto: un compenso, la copertura delle spese e il 50% dei profitti. Con questa garanzia si mette al lavoro iniziando a tratteggiare il soggetto di massima con Duccio Tessari e Fernando Di Leo. Al momento della prima scrittura Tessari esce dall’impresa mentre Di Leo continua insieme a Enzo Dell’Aquila. Alla fine è lo stesso Sergio Leone, coadiuvato dal cognato Fulvio Morsella, a trasformare la bozza in un soggetto più dettagliato. Ai due si unisce poi lo sceneggiatore Luciano Vincenzoni, che in nove giorni scrive la sceneggiatura. Il film viene proiettato per la prima volta il 18 dicembre 1965 al Supercinema di Roma. Le reazioni entusiastiche del pubblico impressionano gli emissari della United Artists invitati da Luciano Vincenzoni ad assistere alla proiezione e convincono Ilya Ropert, il vicepresidente della società statunitense a comprare a scatola chiusa i diritti di distribuzione sul successivo film di Leone.

Un assassino per soldi

Per il suo secondo western all’italiana Sergio Leone decide di puntare su una figura dalla quale il western classico di Hollywood si è sempre tenuto un po’ distante: il bounty killer. Se l’ambigua personalità di chi uccide per soldi cozza contro l’etica che caratterizza gli eroi statunitensi, costretti a essere moralmente edificanti in quanto elementi fondamentali di quella che viene chiamata “epica della frontiera” a lui non importa, anzi ne prende esplicitamente le distanze. «Gli Americani hanno sempre dipinto il West in termini romantici, con cavalli che corrono al fischio del padrone. Non hanno mai trattato il West seriamente, come noi non abbiamo mai trattato l’antica Roma seriamente. Forse il più serio dibattito sull’argomento è stato fatto da Kubrick in “Spartacus”: gli altri film sono sempre stati favole di cartone. È stata questa superficialità che mi ha colpito e interessato». Per questa ragione quando si tratta di rimettere in sella il suo “uomo senza nome” dopo il successo di “Per un pugno di dollari” sceglie di farne un cacciatore di taglie. Con lo stesso cappello, lo stesso poncho e lo stesso, identico sigaro del film precedente Clint Eastwood diventa il Monco, un professionista dell’assassinio pagato dalla legge che fa tutto con la mano sinistra come se fosse un mancino ma spara con la destra. Ad affiancarlo c’è il Colonnello Mortimer, cacciatore di taglie più per necessità che per scelta se si dà retta alle osservazioni del profeta («…era un gran militare e ora s’è ridotto a fare il bounty killer) o, come si scopre alla fine, in qualche caso anche per vendetta. E proprio per sottolineare l’importanza assoluta del denaro il conteggio finale dei cadaveri viene effettuato utilizzando come unità di misura il valore in dollari delle taglie.

 

Previous articleTornano le avventure de La Contessa Rossa, di Niky Marcelli
Next articleNatale, il ristorante solidale diventa social
Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".