Home C'era una volta Workin’ class heroes: Torino è la mia città

Workin’ class heroes: Torino è la mia città

SHARE

Nella serata di sabato 9 febbraio 2008 in una tensostruttura costruita di fronte alla Thyssenkrupp si svolge la manifestazione “Workin’ class hero: Torino è la mia città”, musica e parole di solidarietà con il lavoro e la lotta quotidiana di quella Torino operaia divenuta da tempo invisibile.

Un’esibizione unica

Sul palcoscenico le parole di Ulderico Pesce e Beppe Rosso si alternano alle note di Fratelli di Soledad, Carlo Pestelli, Mao e i Santabarba, oltre che di oSKAr e i Cappuccino, cioè gli Statuto in formazione ridotta e senza riferimenti al marchio principale per mantenere fede al giuramento solenne di non esibirsi più nella propria città in segno di protesta contro la prepotenza del music business locale. Evento nell’evento, tutti i musicisti hanno condiviso la proposta di suonare in acustico (“absolutely unplugged”, per chi ama la lingua ufficiale dei dominatori del pianeta), adeguando formazioni e arrangiamenti all’occasione. Il risultato è una sorta di “esibizione unica” che, se registrata, potrebbe finire felicemente in un disco magari destinato a rafforzare il “fondo di solidarietà con i lavoratori Thyssenkrupp”. La musica sceglie così di presentarsi al pubblico nuda, senza fronzoli e merletti, in un rapporto di intimità con il pubblico quasi a sottolineare che i sentimenti, i sogni e le speranze degli artisti e del pubblico si tengono per mano, sono le stesse. E se i Fratelli di Soledad salgono sul palco soltanto con «…chitarra e voce come nascono le canzoni», il popolo mod ha la sorpresa di vedere e ascoltare un inedito oSKAr accompagnato dai soli Ennio Teen Mod alla chitarra acustica e Jerry al sax. È proprio in questo particolare apporto creativo che la parte più attenta e impegnata della cultura torinese fa una dichiarazione precisa di appartenenza.

Le radici operaie

Per oSKAr una serata come quella di sabato contribuisce anche a riaffermare le radici operaie della città «…Per anni gli organi di informazione cittadini hanno tentato di farci credere che il concetto di “classe operaia” non indicava più nulla e che Torino si muoveva su nuovi indirizzi economici e sociali ma è bastata la tragedia della Thyssen per dimostrare che la classe operaia esiste e regge l’economia della città, ma che la favola della “Torino non più operaia” ha finito per coprire vergognose mancanze di sicurezza e controllo delle condizioni di lavoro…». C’era un tempo in cui non erano soltanto gli artisti “impegnati” a metter in musica le parole dell’alienazione della catena di montaggio o della condizione operaia. Dai juke box si potevano ascoltare i Rokes raccontare i sogni di Bartolomeo (…millecentododici buchi tutti in fila in questo pezzo di ferro così…/pensare che il mio sogno è la poesia…), e i Giganti farsi interpreti delle delusioni di un giovane metalmeccanico (Mi chiamo Brambilla e faccio l’operaio/lavoro la ghisa per pochi soldi/e non ho in tasca mai la lira per potere fare un ballo con lei…). Erano “canzonette”, non servivano a fare la rivoluzione e neppure ne avevano l’intenzione, ma segnalavano un’attenzione diversa verso il lavoro e i lavoratori. Oggi non è così. Gli operai sono invisibili e parlarne è considerato poco alla moda. La serata di sabato 9 febbraio 2008 traccia un piccolo segno diverso, in controtendenza. E se è vero che con le canzoni non si possono cambiare le cose, ci sono momenti in cui anche la musica può servire a rompere il guscio dell’indifferenza e dell’ignoranza.

 

Previous articleApi, una casa sicura grazie a Beeing e Legambiente
Next articlePascoli sostenibili, Irlanda ed Italia partner sulle Alpi
Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".