Home C'era una volta Pete Christlieb, macché etichette, la musica è solo musica!

Pete Christlieb, macché etichette, la musica è solo musica!

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Il 16 febbraio 1945 nasce a Los Angeles, in California, il sassofonista Pete Christlieb. Figlio del maestro di fagotto Don Christlieb, si può dire che respiri musica fin dalle prime ore di vita.

La standardizzazione non fa per lui

A sette anni inizia a studiare violino, strumento che lascia per il sax dopo essere stato folgorato dall’ascolto di Gerry Mulligan. Il padre accetta il suo amore per il jazz purché continui gli studi. Nel 1957, a soli dodici anni, vince una borsa di studio per studiare al Valley College di Akron, nell’Ohio. Lontano da casa e fuori dall’autorità del severo genitore, fugge dal College dopo poche settimane per aggregarsi all’orchestra di Si Zentner. Inizia così la carriera di uno dei più dotati e poliedrici sassofonisti degli anni Settanta e Ottanta. Geniale e ribelle rifugge dalla standardizzazione e non si lascia imprigionare da un genere. Alterna l’impegno in jazz band di grande livello, come quelle di Chet Baker e Woody Herman, a esperienze come session man in concerto e negli studi di registrazione. Tra le sue performance c’è anche un filmato televisivo in cui accompagna Elvis Presley. Il suo nome figura in alcuni tra i migliori dischi del gruppo diretto dal batterista Louis Bellson, come Break through, Explosion o Sunshine rock.

Io amo la musica

Instancabile e innamorato del suo strumento, alla fine degli anni Sessanta non disdegna di partecipare a spettacoli televisivi delle popstar di quel periodo. «So di dire una stupidaggine, ma io amo la musica. Non potrei immaginare la mia vita senza di lei, è la mia droga. Ringrazio il destino per avermi permesso di vivere di musica». Non si cura di tutelare la propria immagine. Crea un proprio quintetto jazz con il vibrafonista Charlie Shoemake, il pianista Terry Trotter, il bassista Harvey Newmark e il batterista Steve Schaffer, ma non rinuncia al lavoro di studio con personaggi come Doc Severinsen, Freddie Hubbard, Pat Williams, Tom Waits e Quincy Jones. A chi gli chiede la ragione di questo continuo alternarsi tra generi commerciali e musiche più impegnate lui risponde, serafico: «La musica è solo musica e basta. Jazz, pop, rock, blues, sono nomi che indicano, in fondo, la stessa cosa: una lunga serie di note messe in fila e destinate a produrre dei suoni. È l’anima dello strumentista che dà loro vita, non l’etichetta… e l’anima non è prigioniera di un genere musicale».

 

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Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".