Home C'era una volta Jimmy Crawford, il batterista dello swing

Jimmy Crawford, il batterista dello swing

SHARE

Il 27 gennaio 1980 muore a New York il settantenne Jimmy Crawford, all’anagrafe James Strickland, batterista fra i più potenti e precisi, adatto come pochi a sostenere lo swing delle grandi orchestre nere degli anni Trenta.

Il primo a notarlo è Jimmy Lunceford

Nato a Memphis nel Tennessee Jimmy Crawford trascorre gran parte della sua carriera nella big band di Jimmy Lunceford, una delle più famose del periodo dello swing. È proprio Lunceford a intuire le sue capacità quando, diciannovenne, è ancora studente. Lo convince a la sciare tutto e a seguirlo nella sua avventura. Crawford ripaga la fiducia del suo scopritore con gli interessi restando con lui per quattordici anni filati, fino al 1943 partecipando alla registrazione di tutti i successi anche discografici dell’orchestra, da Harlem shout a Baby wont’ you please come home. La sua prima fonte d’ispirazione stilistica sono i batteristi di New Orleans, anche se filtrati attraverso la lezione di due maestri come Sidney Catlett e Chick Webb. Progressivamente, però, il ragazzo si libera dalle varie influenze ed elabora uno stile proprio, vigoroso ed energico, capace di emergere per il suo swing in un’orchestra come quella di Lunceford, ricca di strumentisti di valore.

Una stella di prima grandezza

Quando lascia il suo scopritore è ormai considerato una stella di prima grandezza nell’universo dei batteristi jazz. Sono molti i direttori d’orchestra che vorrebbero inserirlo stabilmente nel proprio organico, ma lui preferisce non legarsi più per tanto tempo. Nel dopoguerra si diverte a vagabondare tra vari gruppi senza dimenticare qualche orchestra sopravvissuta alla fine delle big band come quella di Lionel Hampton. La sua non è una scelta esistenziale, ma professionale. Lo stimola l’idea di prestare la sua batteria a personalità molto diverse tra loro, alle quali regala la sua genialità tecnica, ma dai quali assimila nuovo spunti di crescita artistica. Il quel periodo dà il suo apporto ai gruppi di quasi tutti i leader più importanti della scuola post-swing. Tra le tante sono da ricordare le sue collaborazioni con Edmund Hall, Illinois Jacquet e, soprattutto, Milton Mezzrow, con il quale registra una memorabile session discografica che comprende fra gli altri brani come Hot Club stomp e Blues in disguise, destinati a diventare due classici della storia del jazz. Gli acciacchi e qualche incomprensione con l’ambiente ne condizionano la carriera negli anni Settanta, iniziati con la partecipazione al film “L’aventure du jazz”, e quando la morte lo sorprende non suona quasi più.

 

Previous articleLe Olimpiadi a Cortina, tre miliardi per cinque cerchi
Next articlePro Carton vince l’European Paper Recycling Award
Gianni Lucini
Scrivere è il mio principale mestiere, comunicare una specializzazione acquisita sul campo. Oltre che per comunicare scrivo anche per il teatro (tanto), il cinema e la TV. È difficile raccontare un'esperienza lunga una vita. Negli anni Settanta ho vissuto la mia prima solida esperienza giornalistica nel settimanale torinese "Nuovasocietà" e alla fine di quel decennio mi sono fatto le ossa nella difficile arte di addetto stampa in un campo complesso come quello degli eventi speciali e dei tour musicali. Ho collaborato con un'infinità di riviste, alcune le ho anche dirette e altre le dirigo ancora. Ho organizzato Uffici Stampa per eventi, manifestazioni e campagne. Ho formato decine di persone oggi impegnate con successo nel settore del giornalismo e della comunicazione. Ho scritto e sceneggiato spot e videogiochi. Come responsabile di campagne di immagine e di comunicazione ho operato anche al di fuori dei confini nazionali arrivando fino in Asia e in America Latina. Dal 1999 al 2007 mi sono occupato di storia e critica musicale sul quotidiano "Liberazione".