Home Green Economy Moda sostenibile: la proposta dell’UE per conciliare fashion e tutela ambientale

Moda sostenibile: la proposta dell’UE per conciliare fashion e tutela ambientale

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La ricerca di un impatto ambientale minimo è, ormai da tempo, al centro dell’attenzione del settore fashion. I grandi brand stanno mettendo in campo misure concrete al proposito. Un esempio recente è quello delle borse di Stella McCartney.

Uno dei modelli iconici della maison fondata dalla figlia dell’ex Beatle, ossia Falabella, nei mesi scorsi è stata lanciata sul mercato in un materiale innovativo, ossia il Mirum. Dimentichiamoci della similpelle che, se da un lato tutela gli animali, dall’altro, invece, prevede il ricorso ai combustibili fossili.

Con il Mirum, si può apprezzare il medesimo effetto visivo della pelle, ma con la certezza di aver acquistato un accessorio realizzato con materiali naturali e frutto di un lavoro di riciclo.

Questo, come già accennato, è solo uno degli esempi di quello che stanno facendo i brand per cambiare una situazione che, a ragion veduta, si può definire come un’emergenza.

La moda impatta sull’ambiente non solo per via dello spreco di risorse, ma anche per la produzione di una quantità immane di rifiuti a causa del fast fashion. Per dare qualche numero in merito, basta ricordare che, nella sola Europa, ogni anno vengono prodotte oltre 12 milioni di tonnellate di rifiuti tessili.

I dati in questione non risentono del fenomeno del fast fashion che negli ultimi anni è al centro delle scelte d’acquisto fatte in Italia – e non solo – per via dei prezzi bassi e per la possibilità di accedere a un’ampia gamma di capi.

La proposta dell’UE per un cambio di passo

Per cercare di arginare una situazione che, altrimenti, sarebbe destinata a peggiorare, l’UE ha messo in campo una proposta per dare una svolta sostenibile alla moda nei Paesi del Vecchio Continente.

Si tratta della cosiddetta Proposta di Responsabilità Civile Estesa del Produttore (EPR). Con la pubblicazione, risalente allo scorso 5 luglio, dei piani per la modifica della direttiva quadro relativa alla gestione dei rifiuti, si stanno delineando i dettagli di quella che, a prima vista, può sembrare una vera rivoluzione sostenibile per il comparto, strategico per il PIL dell’Italia e non solo.

Cosa prevederà? Degno di nota è innanzitutto il ruolo dei produttori, che avranno il compito di coprire i costi della gestione degli scarti tessili. Questo dettaglio, secondo i legislatori dell’UE, potrebbe rappresentare un ottimo incentivo sia per la riduzione degli sprechi, sia per una maggiore attenzione all’inclusione delle stoffe in un’economia circolare, con tutti i vantaggi del caso sulla qualità dei prodotti fin dalla loro proposta iniziale al mercato.

Il sito della Commissione Europea fornisce ulteriori informazioni, ricordando che i produttori saranno tenuti a pagare una somma al sopra citato sistema EPR. Quest’ultima sarà calcolata sulla base delle prestazioni ambientali dei materiali da loro utilizzati, a partire dalle fibre tessili.

La situazione dell’Italia

Cosa si può dire in merito alla posizione dell’Italia in questo quadro di cambiamento (che vede la Francia in una condizione di vantaggio grazie a una normativa EPR molto strutturata che include, oltre ad abiti e accessori per la persona, anche i tessili per la casa)?

Che è stata elaborata una proposta normativa sulla quale sono emerse, fin dai primi momenti, diverse criticità. Ad oggi, si parla di fase di revisione.

Tornando in ambito internazionale, non si può non affermare che il quadro sia complesso. Come già detto, in Francia la normativa EPR include anche i tessili per la casa. In Paesi come l’Olanda riguarda, per esempio, anche i sacchi a pelo.

Urge un’armonizzazione, in attesa della quale si valutano misure come l’istituzione della raccolta specifica dei rifiuti tessili. L’obiettivo? La costruzione di una consapevolezza dei pericoli del fast fashion e la promozione di capi di qualità e capaci di durare nel tempo.